Soledad Burgaleta e l'arte che nasce dalla ferita: quando la pittura trova l'artista
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Soledad Burgaleta e l’arte che nasce dalla ferita: quando la pittura trova l’artista

Soledad Burgaleta e l’arte che nasce dalla ferita: quando la pittura trova l’artista

Ci sono storie che si dipanano come fili di seta attraverso il tempo e le lacrime, racconti che non si scrivono, ma si dipingono, si scolpiscono nel gesto e nel colore. La vicenda artistica di Soledad Burgaleta appartiene a questa dimensione, profondamente umana e insieme radicalmente estetica. Nata in Guatemala ma spagnola per cultura, sensibilità e destino, Soledad non è approdata alla pittura per un percorso lineare e accademico, ma attraverso una frattura, una perdita, un dolore tanto indicibile quanto trasformativo. Era il 2013, e la morte improvvisa del marito, un trauma intimo e devastante, segna l’inizio inatteso della sua avventura creativa. Come lei stessa ama ripetere, «non sono stata io a trovare la pittura, ma è stata la pittura a trovare me». Un’affermazione che non ha nulla di retorico: dietro quella frase si cela la forza misteriosa di un incontro salvifico, l’affiorare di una vocazione inizialmente sopita e genuinamnete autentica. In quel periodo di spaesamento esistenziale, alcune amiche la convincono a frequentare un corso di pittura. Da allora, i colori, i pennelli, le carte, le tele diventano strumenti di sopravvivenza, protesi dell’anima. E, con sorprendente naturalezza, l’arte si fa lingua quotidiana, mezzo espressivo, e infine orizzonte professionale. Non stupisce, quindi, che le prime opere di Soledad siano intrise di tenerezza e compassione, di uno sguardo empatico che si posa sulle cose e sulle persone con un’intenzione quasi terapeutica. Perché Soledad dipinge per vedere, ma anche per far vedere.

Biografia di una rinascita

Prima di diventare artista, Soledad aveva alle spalle un percorso accademico e professionale tutt’altro che banale: due lauree, due master, anni di attività imprenditoriale. Un’esistenza ben incanalata nei binari del successo formale ma, forse, mai del tutto appagante. La pittura ha riempito un vuoto antico, ha riannodato fili interiori che erano rimasti sospesi. A partire dal 2014, le prime esposizioni collettive aprono un varco nella sua quotidianità. Ma è nel 2020, in concomitanza con la pandemia globale, che l’impulso creativo si intensifica e prende forma più compiuta. Incoraggiata dai suoi maestri, Soledad sceglie di fare dell’arte non più un semplice rifugio, ma un progetto di vita, una missione. Nella sua produzione, si avverte una tensione continua fra il rigore tecnico (presente in tutte le sue collezioni) e la vibrazione emotiva. Esperta in acquarello, artista curiosa e sperimentatrice, Soledad mostra una padronanza raffinata delle sfumature e della luce, con una predilezione per i dettagli minuti, per le forme del quotidiano, per quella “bellezza invisibile” che è capace di rendere poetico anche un paio di scarpe. Ma sotto la superficie estetica si cela una vocazione etica, una responsabilità sociale che attraversa tutta la sua opera come un filo rosso.

Dalla collezione di “amigos de cuatro patas”

Una vida en la mirada: rendere visibili gli invisibili

Tra i progetti più significativi e toccanti di Soledad Burgaleta vi è senza dubbio la serie Una vida en la mirada. Più che una collezione di ritratti, si tratta di un percorso di avvicinamento all’altro, di una lenta e profonda immersione nei volti degli esclusi: senzatetto, mendicanti, anziani dimenticati. In un’epoca in cui lo sguardo scivola in superficie, in cui l’immagine è consumo rapido e distratto, Soledad compie un gesto rivoluzionario: si ferma, ascolta, contempla. I soggetti che sceglie non sono mai casuali: ogni volto è il risultato di un incontro, di una narrazione, di una condivisione. Prima di dipingere, Soledad fotografa, parla, entra in relazione, assorbe la storia. E poi trasfigura, con pennellate leggere ma incisive, i tratti di quei volti carichi di storie, li rappresenta su delicate pagine di libri antichi, antichi come la vita della stessa persona.

Dalla collezione “Una vida en la mirada”

Questa serie, che si sviluppa su pagine di libri antichi, dialoga non solo con la pittura, ma anche con la scrittura, con il tempo, con la memoria. Non è un caso che queste opere siano pensate per non essere vendute: Soledad vorrebbe che facessero il giro del mondo, come ambasciatrici silenziose di un messaggio di dignità e compassione. Ad essere vendute, infatti, sono delle repliche numerate, che ne certificano la provenienza, e hanno una clausola etica: il 40% del ricavato va alle persone ritratte. In questo modo, l’opera non solo rappresenta la marginalità, ma agisce su di essa. Non è solo arte figurativa: è arte performativa nel senso più alto, perché produce effetti reali nella vita delle persone.

Tecnica e visione: l’iperrealismo con coscienza

Se l’empatia è il cuore pulsante del suo lavoro, la tecnica è la struttura che lo sostiene. Soledad è una pittrice attenta, rigorosa, seguace di un iperrealismo contemporaneo che declina con grande originalità. A partire da oggetti quotidiani – un paio di guantoni da boxe, delle scarpe, una tazzina – costruisce composizioni dove lo sfondo non è mai mero contorno, ma uno spazio di sperimentazione, di simbolismo, di libera espressione. L’opera è costruita su un equilibrio tra rigore e libertà, tra precisione e improvvisazione. Se la figura centrale richiede studio e disciplina, è nello sfondo che Soledad si lascia andare all’intuito, alla sorpresa.

Non c’è mai una scelta estetica fine a se stessa: ogni opera, anche la più apparentemente neutra, porta con sé un messaggio, un invito a riflettere. Come nella serie A golpes con la vida, autentica metafora di resilienza, o in Apostándole a la vida, dove il quotidiano diventa spazio di speranza. Ogni titolo, ogni composizione, è una soglia da attraversare, una finestra aperta su un pensiero più ampio.

Dalla collezione “Pisando fuerte”
Dalla collezione “Reciclando”

La coscienza sociale come impronta artistica

In un tempo dominato dal mercato, dalla spettacolarizzazione e dalla bulimia dell’immagine, l’arte di Soledad Burgaleta si pone come un argine gentile ma fermo. “”Il mercato dell’arte, oggi come oggi, è viziato e inquinato, a partire dagli stessi spazi espositivi che fanno affari al di là della qualità oggettiva delle opere” spiega Soledad. Lungi dal cercare l’affermazione personale, la sua urgenza è quella di aprire uno sguardo nuovo sul reale. Voglio lasciare un’impronta di coscienza sociale, afferma senza esitazione. E le sue opere, pur nella loro delicata eleganza, sono un atto politico nel senso più nobile del termine: denunciano l’invisibilità, reclamano dignità, rimettono al centro ciò che la società tende a rimuovere.

Collezione privata

La sua sensibilità, maturata tra le pieghe della perdita, dell’ascolto, della ricerca, si traduce in una poetica che ha molto da insegnare: non solo a chi fa arte, ma a chi guarda, a chi vive, a chi attraversa il mondo con distrazione. Perché, come lei stessa afferma, anche loro possono cambiare la tua vita.

Un cammino aperto: tra memoria e desiderio

Oggi Soledad sta lavorando a nuove commissioni per importanti realtà aziendali, ma non smette di tornare alla sua serie più identitaria, Una vida en la mirada, che continua a crescere, quadro dopo quadro, volto dopo volto. Il suo sogno non è quello del riconoscimento personale, ma di un cambiamento collettivo dello sguardo. Vuole contribuire con il suo piccolo granito de arena – come dice lei, con pudore e determinazione – a un mondo più attento, più empatico, più consapevole. Là dove l’arte si fa incontro e la pittura si fa voce, Soledad Burgaleta ci offre una lezione preziosa: la bellezza è ovunque attorno a noi, anche lì dove non vediamo o non vogliamo vedere. E proprio lì si evidenzia la ricerca della bellezza come un atto d’amore: un invito a vedere davvero, a sentire profondamente. E, forse, a riconoscere anche in noi quella parte invisibile che chiede solo di essere vista.

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